Oltre il piacere e oltre l’editoria: Francesca Ceccarelli, editrice di Frisson, e l’esperienza di creare un progetto indipendente e transfemminista su carta

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10 min readNov 16, 2021

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Di Maria Elena Tripaldi.

Siete mai andat* oltre il piacere? E in che modo?

Forse vale la pena fare dei tentativi per accogliere questa opportunità e cominciare a leggere Frisson, il magazine indipendente che tratta di temi come sessualità, piacere, diritti e intersezionalità facendo una scelta politica molto precisa: quella di definirsi un magazine femminista.

Moltiplicherei le pagine di ogni numero di Frisson dalla sua prima uscita ad oggi, vicino al giorno in cui il magazine che vuole andare oltre il piacere ha spento la candelina dal numero 2 e, moltiplicando, arriverei al cospetto di una varietà inimmaginabile di contenuti, di voci e di penne e approfondimenti: Erika Lust, Ella Bottom Rouge, Vera Gheno, Kali Sudra, Sara Brown, Marina Cuollo, riflessioni sull’educazione sessuale nelle scuole, sui numeri della pandemia che gravano sulle spalle di altre donne, le battaglie di chi fa sex work e le storie di chi ha sentito il proprio corpo scontrarsi con specchi e sguardi giudicanti.

A raccontarmi di questa avventura c’è Francesca Ceccarelli, la donna che c’è dentro Frisson — che dire dietro potrebbe restituirci il gusto un po’ amaro di quel detto che vede le donne rigorosamente nascoste dietro grandi uomini, e che questa volta, invece, vede una mente creativa affiancata da un’altra donna, Angela Gennaro, direttrice editoriale e da Francesco Mazzenga come design consultant.

Francesca Ceccarelli è l’editrice di Frisson ma soprattutto è la fantasia che lo ha inventato e lo sguardo lucido ed evidentemente attento che oggi lo tiene in vita, facendo i conti in tutti i sensi con fortune e costi che regolano il panorama dell’editoria indipendente in Italia.

Francesca, ti va di raccontarci come nasce Frisson nella tua mente?

Frisson nasce quando ero ancora una studentessa presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Ero affascinata dal design editoriale e dall’editoria indipendente straniera, tanto che acquistavo tantissimi magazine provenienti da più parti del mondo. Di questi prodotti amavo in particolare il modo di trasformare in design visivo i contenuti “testuali” e la loro linea editoriale — spesso settoriale, molto curata e ricercata. Riviste così da noi non si vedevano, tranne pochi esempi, e volevo capirne tutte le dinamiche. Mi ero appassionata a una storia nello specifico, quella di Little White Lies. Si tratta di una rivista illustrata di cinema creata da Danny Miller — allora studente di graphic design — come progetto di laurea. Miller è un vero appassionato di cinema, e così nel 2005 decide di lanciarsi e concretizzare il suo progetto, dando vita a quello che oggi è una delle riviste cinematografiche più autorevoli.

La sua storia è sempre stata una grande ispirazione per me, perché mi aveva aperto a un mondo che credevo fosse appannaggio solo dell’editore “navigato”. Ero intenzionata a creare qualcosa di simile, però mi mancava la scintilla, la passione.

In quel periodo mi stavo avvicinando gradualmente al femminismo, alla corrente sex positive e al dibattito sulla pornografia etica; contemporaneamente stavo avendo anche le mie prime esperienze lavorative, che spesso mettevano in luce un’evidente disparità di genere. Non c’è voluto molto perché questi due mondi si incontrassero, facendo nascere in me la voglia di creare una rivista che non c’era e che parlasse di sessualità sia in relazione alla sfera intima, che a quella più “politica”.

Hai voglia di spiegarci la scelta di essere indipendenti da cosa dipende e soprattutto cosa comporta?

Più che una scelta, è una condizione inevitabile. Nell’editoria periodica essere indipendenti significa non far parte dei grandi gruppi editoriali, cioè ampi circuiti che possono comprendere non solo testate giornalistiche online e cartacee, ma anche altri media come emittenti televisive e radiofoniche.

Frisson nasce “dal basso” con un concept già piuttosto definito e dalle basi di un numero 0 realizzato come progetto di tesi: difficilmente sarebbe stato accolto come nuova proposta editoriale presso un grande gruppo. Inoltre oggi in pochi vogliono investire per creare nuove piattaforme di informazione, ancora meno se si tratta di riviste cartacee, perché c’è la convinzione che la carta sia “vecchia”.

Lavorando presso alcune testate nazionali si sente solo dire che i giornali sono in perdita, che è difficile o impossibile rinnovarsi e che tante edicole stanno chiudendo. Allora perché l’editoria indipendente periodica sta avendo un grande slancio negli ultimi anni?

Dovendo ritagliarsi una fetta di mercato e distinguersi dai magazine già esistenti gli editori e le editrici indipendenti tendono a creare qualcosa che non c’era prima grazie a idee originali, temi inediti o approcci diversi. Come tant*, anche io mi sono lanciata nell’editoria per passione: quando ho deciso di partire davvero con Frisson, l’ho fatto perché volevo creare il magazine che avrei voluto leggere e che non trovavo in Italia.

Una delle chiavi del successo dell’editoria indipendente è il poter dettare la propria linea editoriale senza alcun vincolo: spesso chi crea concretamente i contenuti di una rivista deve dipendere da chi la possiede e la stampa, e i due soggetti non hanno sempre una visione comune.

Nell’editoria indipendente, invece, queste figure possono fondersi, come nel caso Frisson: per esempio io sono editrice, coordinatrice editoriale e creative director. Ma mi occupo anche delle spedizioni, dei social, del rapporto con clienti, lettori e lettrici: questo mi restituisce una visione d’insieme che è importante nella progettazione di ogni numero della rivista.

La passione che porta gli editori e le editrici indipendenti a fondare un magazine fa sì che loro conoscano bene chi sono i loro lettori/lettrici: è una marcia in più essenziale. Settorializzare gli argomenti affrontati consente di parlare esattamente a quella nicchia in modo più onesto, autentico ed empatico.

Ma essere indipendenti ha impatti importanti su tutta la filiera di produzione, distribuzione e promozione. Per esempio, non si possono stampare tante copie di una rivista perché l’investimento è troppo alto, e poi bisogna avere un grande magazzino che le contenga.

È difficile essere distribuiti presso le edicole perché con una bassa tiratura — e dunque bassa copertura — non si riesce a rifornirle tutte. E ha senso essere solo nelle edicole di poche città?

In ogni caso, chi si occupa della distribuzione trattiene una percentuale che a volte un magazine indipendente non può sostenere. Per questo molt* — come noi — non vendono tramite Amazon. Frisson è auto-distribuita tramite il nostro e-commerce e tramite librerie e store con cui ci rapportiamo direttamente, e sono tutti indipendenti perché vogliamo supportare e appoggiare realtà affini alla nostra.

Per quel che riguarda la promozione, i grandi gruppi che dispongono anche di radio o tv possono godere di una copertura mediatica quasi a costo zero, ma chi è indipendente deve/può creare e finanziare autonomamente le proprie campagne, con difficoltà simili a quelle appena citate. È dura, ma le soddisfazioni arrivano e danno la giusta energia per gestire tutto.

Quanto è importante — e sfidante — essere una donna creativa con un progetto imprenditoriale e soprattutto a capo di una testata giornalistica? Il tuo metodo nella relazione con i contributors cosa prevede e che spirito ha?

Tantissimo. Negli ultimi 2/3 anni ci siamo abituat* a vedere più donne leader, ma spesso questi modelli di leadership sono analoghi. Mi spiego: siamo molto ancorat* a un archetipo di “donna in carriera” che deve avere alcune caratteristiche essenziali, come un carattere di ghiaccio e una morale impeccabile, per non parlare delle caratteristiche “fisiche”. Mi pare che nell’ambito della leadership “maschile” rientri una gamma più vasta di possibilità socialmente accettate. E questo se ragioniamo solo in termini “binari”.

Vorrei che imparassimo a valorizzare anche altri modelli di leadership più empatica e meno performativa.

Per fortuna mi rapporto con una bolla di persone che non vede un problema nel fatto che sia una donna a gestire una rivista. Ma è anche frutto dei temi che trattiamo, se il più delle volte ho la fortuna di relazionarmi con persone affini a me.

Nel campo dell’editoria in senso più ampio, invece, le cose si complicano: di editrici ce ne sono poche, e ancora meno sono donne giovani. Quando ho avuto contatti con questi ambienti o ho avuto a che fare con questioni burocratiche ho sentito tutti gli svantaggi e i pregiudizi legati all’essere una donna, giovane e che fa un mestiere raro. Abbiamo un problema con l’età, oltre che con il genere. Nel nostro paese se sei under 30 e fai imprenditoria sei una specie di creatura mistica.

Negli anni precedenti ho avuto molte esperienze come dipendente presso grandi e piccole realtà — redazioni e non solo — e ho cercato di prendere il meglio da quello che ho vissuto. Alcune modalità di lavoro e comunicazione le ho ereditate proprio da queste esperienze e oggi mi aiutano a non avere un rapporto piramidale, ma orizzontale con i/le contributor di Frisson. C’è un grande scambio su temi e approcci, nonché consigli e aiuti laddove servono, che vengono da parte di tutt* noi.

Ci sono tuttavia dei momenti in cui serve fare scelte meno popolari e più difficili: io stessa sono responsabile delle tempistiche di stampa, della distribuzione e di eventuali ritardi nell’arrivo della rivista ad abbonat* e lettori/lettrici. Ma la condivisione è alla base di tutto e in questi momenti mi prendo del tempo in più per spiegare le motivazioni di una scelta, che so essere critica. Per me “stare a capo” significa questo: empatia, onestà e condivisione.

Frisson è un magazine che miscela un linguaggio fresco a temi caldi e assolutamente politici affrontati con grande serietà e con cura, con approfondimenti e interviste. Quali sono i criteri con cui stabilite che una persona sia più o meno autorevole in materia e al contempo in linea con il vostro spirito?

Cerchiamo di consultare professionist* della materia specifica di cui si sta scrivendo, e la cui esperienza sia in linea con Frisson. Questo non vuol dire che ci sia una sorta di “test d’ingresso” o una volontà di censura. Quel che intendo è che se si deve parlare di aborto, non gradiamo confrontarci con obiettori di coscienza, per fare un esempio palese. Non siamo legat* all’idea che debba esserci necessariamente un contraddittorio per affrontare un certo tema: quella è una dinamica da talk show che nulla ha a che fare con un magazine come il nostro.

In Frisson, tuttavia, trovano spazio molteplici punti di vista che possono anche non essere perfettamente allineati fra loro, ma convivere insieme. È il bello della complessità. Certamente ci sono delle condizioni imprescindibili, come essere sex positive e inclusiv*, essere per la parità di genere… Potrei dire essere “femminist*”, ma rispetto chi non si sente affine a questo termine, pur avendone a cuore le stesse istanze.

Secondo te quali sono stati i grandi momenti dell’editoria femminista in Italia (se ci sono stati, per libri e riviste s’intende)? Com’è la situazione oggi?

Paradossalmente negli anni del dopoguerra hanno iniziato ad affermarsi riviste femministe che trattavano temi più all’avanguardia di quelle di oggi: penso a Noi Donne, Effe, Sottosopra… Le copertine di queste riviste erano dedicate alla prostituzione, alla pillola abortiva, al divorzio. Era un altro momento storico, dove tutto andava conquistato e niente era dato per scontato. I grandi temi erano gli stessi per cui si stava lottando sul piano politico: l’emancipazione femminile, il diritto al divorzio, la parità salariale, l’autonomia economica e sessuale.

Anche se ogni rivista aveva la sua linea specifica — politica, letteraria, di cronaca, artistica, ecc. — sembrava esserci un obiettivo comune. Sul piano dei temi, non vedo la stessa intraprendenza nelle riviste di oggi.

In generale, l’editoria periodica femminista ha dovuto fare i conti con due rivoluzioni: sul piano dell’informazione — comune a tutto il settore editoriale — e sul piano dei temi, perché anche il movimento femminista sta diventando più inclusivo e intersezionale rispetto a prima. Ancora non so dire a cosa sta portando questo cambiamento. I nuovi media stanno contribuendo a diffondere istanze femministe con una velocità ed efficacia inimmaginabili prima, ma a volte noto una mancanza di complessità nei temi trattati dai media contemporanei — online e offline — e una difficoltà a scendere oltre la superficie.

Che rapporto esiste con altri progetti del settore non femministi?

Ne conosco alcuni molto brillanti italiani e anche stranieri. Mi mancano molto gli eventi che favoriscono il dialogo fra questi progetti, e soprattutto con i vari team. All’estero se ne organizzavano molti prima del Covid e qualcosa sta tornando a muoversi in questi mesi. Editori ed editrici indipendenti sono sempre pien* di lavoro e di scadenze, a volte sembra non esserci tempo per creare contatti fra realtà affini, che pure sarebbero fruttuosi.

Posso parlare solo per quel che riguarda i magazine indipendenti, perché con le grandi testate non abbiamo mai avuto occasione di dialogare.

Dove trovi l’ispirazione per ogni nuovo numero di Frisson? Ci sono progetti stranieri che ti hanno ispirato nella sua ideazione?

Ci sono molte riviste simili ma con approcci diversi nel panorama internazionale. Odiseo, Riposte, Lady Beard e The Gentlewomen sono solo alcune delle riviste che avevo conosciuto durante gli studi e che mi avevano ispirata sul piano dei temi.

Oggi l’ispirazione per ogni numero di Frisson arriva stando calata nella realtà, osservando le nuove sensibilità e anche confrontandomi con lettori e lettrici. Nuove suggestioni possono arrivare da me come da qualsiasi altra persona del team: le condividiamo e le arricchiamo grazie alle nostre esperienze e conoscenze. È così che prende vita ogni numero: questi momenti sono energia pura.

Ci sono novità in cantiere per il futuro di Frisson?

Altroché! Stiamo per iniziare a organizzare il nuovo numero di Frisson in uscita a gennaio, e prima della fine dell’anno dovremmo essere presenti a due eventi. In primavera, invece, vedrà la luce un nuovo progetto su cui stiamo lavorando. Non possiamo dire molto, ma solo che sarà… in presenza!

Maria ElenaTripaldi scrive da quando ha imparato, ha pubblicato un romanzo psicologico e ideato il podcast “Lettera Femmina in cui parla di questioni di genere e discriminazione.

Lavora in un centro antiviolenza a Bologna, cura delle rubriche per Comò Mag, ha pubblicato racconti su alcune riviste online e scrive da poco per Frisson. Femminista un passetto alla volta, lavora con le parole e la comunicazione per cambiare le cose.

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