Quelli che dicono di amarci

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5 min readNov 24, 2020

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Questo articolo è stato scritto dall’illustratrice spagnola Paula Bonet e pubblicato in originale su elDiario.es

Illustrazione di Milksart.

Una goccia d’acqua cade su una pietra e la sfiora. Plick! La inumidisce, e il suo color terra poroso si riempie di venature aranciate e rosate. La pietra si asciuga e torna allo stato grezzo. Plick! Un’altra goccia. La superficie ora è come un tramonto: il rosa, l’arancio e gli ocra creano linee meravigliose. Plick! Plick! Plick! La minuscola goccia sfiora la pietra ogni giorno e modella la superficie liscia. Plick! Plick! Plick! Plick! Plick! Plick! Plick! Un solco. E dopo molto tempo, la sue lieve insistenza spacca la pietra in due.

È esattamente un anno e sei mesi che so dell’esistenza di un’ombra che è come quella goccia. Insistente, traslucida, dura. Erosiva come il vento. Come l’accumularsi delle centinaia di carezze delle labbra dei credenti sul piede di Gesù bambino la notte di Natale. Bacio. Fazzoletto. Un passo avanti. Bacio. Fazzoletto. Un passo avanti. Bacio. Fazzoletto. È il mio turno (ora sono una bambina e ho accompagnato mia nonna in chiesa). Il prete abbassa la statuetta per farmi baciare i piedi della santa creatura. Vedo che il mio dio non ha le dita. Bacio dopo bacio, la mutilazione.

So che l’ombra può apparire ovunque, ma è così debole e così giovane, così insignificante, così piccola, che sono sicura che non potrà farmi nulla. Dico ai miei familiari e amici che non hanno niente di cui preoccuparsi. Quando appare nel luogo in cui lavoro e picchia sul vetro e rimane lì impalata, le chiedo di andarsene. Faccio lo stesso nelle librerie, nelle sale dei teatri o negli auditorium dove si presenta perché sa che mi troverà lì. L’ombra si è seduta molte volte in prima fila quando ho dovuto tenere una conferenza. Mentre mi rivolgo al pubblico la evito e basta, non succede niente. È logorroica e le piace giocare a nascondino sui social. Si acquatta dietro altre ombre e mi ricorda che mi ama, che insieme potremmo fare cose magnifiche, che abbiamo molto da dare l’una all’altra.

La prima volta che l’ho vista pensavo che fosse un nuovo alunno arrivato in classe in anticipo. Quando mi sono resa conto che non era uno studente, la porta era già chiusa a chiave e lui stava approfittando dell’intimità del laboratorio per dirmi che voleva abbracciarmi. Zitella! Immatura! Pedofila! mi gridò più tardi l’ombra da dietro la porta di vetro che separa il laboratorio dalla strada.

Plick! Una mail. Plick! Plick! Un’altra. Plick! Una visita in laboratorio. Plick! Plick! Una risposta scontrosa su Twitter. Plick! La mia conferenza. Plick! Plick! La presentazione del libro per bambini della mia amica. Plick! Il concerto del mio compagno. Plick! Parole, insulti, colpi alle tapparelle. Plick! Plick! Plick! Plick! Plick! Un’anguilla di plastica tagliata a pezzi.

“Se ti becco ti strangolo e ti squarto per la grande gioia di tutti i miserabili vagabondi che vivono nelle strade di Barcellona. Vedrai che bel banchetto, mi lascerò gli occhi per ultimi e conserverò i capezzoli in un contenitore per il mio piacere personale. Per la prima volta in vita tua ti renderai utile a qualcuno che non sia il tuo stesso ego o quello delle tue galoppine leccaculo. Se preferisci puoi implorare pietà a questo molestatore, stupratore, torturatore e psicopatico e solo sarai violentata fino ad avere il tuo terzo aborto.”

Convivere con un’ombra limita la libertà, obbliga a cambiare abitudini, a spendere soldi, a smettere di fare cose che sono necessarie. L’ombra che mi perseguita è minuscola, non appartiene al mio passato, non vive in casa mia, non ho avuto relazioni intime con lei, non abbiamo figli, l’ombra ed io, ma la sua esistenza mi costringe a cambiare la mia vita fino a dover lasciare la città dove vivo. Penso che ci siano molte donne che invece hanno un legame sentimentale con l’ombra che rovina le loro vite e devo fare un grande sforzo per comprendere la gravità del problema. Ho denunciato più volte la mia chiassosa ombra, sono andata in commissariato con le mail stampate e la lista dei luoghi in cui è apparsa come un fantasma, ho portato in buste di plastica gli oggetti di cui mi omaggia. Ho foto e video in cui appare perché non se ne va mai dal mio studio finché non arriva la polizia. So che domani, se vorrà, tornerà a sbaciucchiare la porta di vetro che separa il mio laboratorio dalla strada e che nessuno potrà portarla via.

Scrivo con la consapevolezza del mio privilegio: quando ho parlato pubblicamente delle molestie, l’aiuto è arrivato subito, ma penso a tutte quelle donne su cui la goccia cade da anni e non possono farci niente. Plick! Penso a quelle che quando escono di casa devono sorridere perché la loro ombra è affettuosa e gentile se sono in giro. Penso a tutte quelle donne che sanno che se parlano di quello che succede nella loro vita privata verranno chiamate pazze o esagerate e preferiscono non farlo perché se l’ombra se ne accorge, le grida in casa saranno più acute e i colpi alla porta e alle pareti più forti. Penso a quanto sia urgente cambiare questo sistema patriarcale che rende normali comportamenti atroci e non fa sì che gli aiuti arrivino in tempo quando una vittima chiama il 112.

Ariadna, Plick!, Ana, Plick! Plick! Júlia, Carmen, Plick!, Violeta, Lara, quando mi dite che c’è un’ombra che vi tira per i capelli, che le vostre bambine hanno detto papà e bua in una delle loro prime frasi, che conservate una foto del culetto paonazzo di vostra figlia con un segno rosso esattamente uguale alla forma della mano della vostra ombra, che non potete vestirvi come volete, né truccarvi, né respirare, che avete perso i vostri amici, credetemi, mi si stringe lo stomaco, perché so che non mentite e che il resto del mondo non vi crede.

Allora, sapete che succede? Che l’accumularsi delle gocce rompe una superficie che credevamo fosse dura, e che arriva il giorno in cui il plick! fa crack! e un sistema che di norma ci rende invisibili finisce per eliminarci completamente. Alcuni dei nostri nomi finiscono per allungare la lista di donne morte per mano dei loro aggressori e la comunità torna a mettersi le mani nei capelli e a chiedersi — con un’ingenuità che è un insulto — come sia possibile che una atrocità simile possa essere successa. Quelli che dicevano di amarci ci spaccano in due come succede alle pietre più dure.
Strangolandoci, tagliandoci a pezzettini e bruciando i nostri corpi sulla griglia, lanciando i nostri corpi in un cassonetto o sul fondo di un pantano. Molti di loro erano già stati denunciati, altri no.

Quarantun donne spagnole sono state assassinate dal loro compagno o ex-compagno finora quest’anno. [In Italia, il femminicidio ha fatto sessanta vittime da inizio anno a oggi, NdT]. Non dimentichiamoci che le donne uccise per mano di aggressori con le quali non avevano un legame sentimentale non vengono conteggiate. Ma le esagerate, le ipersensibili, quelle che perdono la testa e sono annebbiate dall’isteria siamo noi. Dopo ogni nuova donna assassinata, la vita continua come prima. E non è successo niente, qui.

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